Il paese che era la nostra casa di Alia Malek
Il paese che era la nostra casa di Alia Malek edito da Enrico Damiani Editore è un memoire. Ho scelto di non recensirlo, ma di parlarvene attraverso delle riflessioni che ha scaturito in me. Trovo che una storia come questa merita viene raccontata nella speranza che certe cose non debbano più accadere. Mai più.
Ringrazio l’ufficio stampa della casa editrice per avermi permesso di scoprire una storia così intensa, vera e che profuma di vita e speranza.
Il paese che era la nostra casa di Alia Malek: la Siria
Alia Malek è nata in America e torna in Siria nel 2011, poco prima della primavera araba. Usare il verbo tornare è sbagliato: quello stato rappresenta le sue origini, non la sua vita. Si trova a rimettere insieme quelle che sono le sue origini. Ripercorre la storia della sua famiglia insieme a quella dello stato islamico.
Ecco che davanti agli occhi dei suoi nonni, Assad prende il potere. La madre, già promessa sposa a un medico che vive in America e lì si trasferirà per garantire ai suoi figli un futuro migliore.
Il paese che era la nostra casa di Alia Malek: la nostalgia
Un futuro migliore pagando il prezzo della nostalgia, di sentire l’eco delle bombe ma non poter fare niente per la propria casa, per quella parte di famiglia che resta lì.
Alia Malek racconta il suo viaggio in Siria nella seconda parte del romanzo. Trova un popolo di codardi, di persone che odiano il loro tiranno, Assad, ma lo inneggiano, lo trattano come un dio per paura delle conseguenze.
Il paese che era la nostra casa di Alia Malek: le riflessioni
Alia Malek è tornata negli Stati Uniti nel 2013, dopo le insistenze e le preoccupazioni della sua famiglia e dei suoi amici.
La lettura di quest’opera è stata un pugno in pieno viso: l’ignoranza che dilaga sulla storia siriana nei media italiani è allarmante. Un mondo costruito sulla paura di un dittatore che dispone come meglio crede delle vite altrui.
Alia Malek ha un passato da avvocatessa per i diritti civili e un presente da giornalista e questo traspare nel suo memoire. Traspare l’umanità, l’empatia di una persona cresciuta tra due mondi: la libertà americana e le forti tradizioni siriane.
Sembra volerci dire di unirci, di combattere per quello in cui crediamo. Di non lasciare che qualcuno decida per noi, di difendere la nostra libertà. Siamo in un momento storico che lascia poche speranze, ma bisogna continuare a essere umani, a non chiudere gli occhi.
Dobbiamo lottare e non distruggerci tra di noi: la primavera araba sembrava il momento giusto per far risorgere tutti quei paesi sotto il controllo di dittatori eppure è sfociata in una sanguinosa guerra civile.
Il paese che è la nostra casa è un monito per tutti noi: mai, mai avere paura di esprimerci e di lottare.
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Non mi resta che augurarvi una buona lettura
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